di Antonio Bordoni
Da qualche mese la polemica sulle condizioni di favore che Ryanair riceve dagli aeroporti sono tornate alla ribalta, complice anche il “caso Verona” dove la decisione di ridurre gli sconti ha portato alla rottura del contratto e al ritiro della compagnia irlandese dallo scalo. In teoria, se una aerolinea riesce ad avere sconti dagli aeroporti la cosa dovrebbe essere ben accetta dalla comunità aeronautica perché, dopotutto, i vettori si sono sempre lamentati degli alti costi aeroportuali. Se le cose stanno così, non è affatto fuori luogo chiedersi perché tutte le altre aerolinee attacchino Ryanair, al punto da indurre l’associazione delle compagnie europee (AEA) a presentare alle autorità comunitarie un documento che denuncia i sussidi e avverte che senza di essi nell’anno fiscale 2011/2012 il vettore irlandese avrebbe chiuso in perdita di 305 milioni di euro anziché in utile di 503 milioni. La notizia della denuncia, non confermata dall’AEA, è venuta sia dal giornale belga L’Echo sia dall’agenzia Reuters. La domanda è più che legittima ma la contraddizione è in realtà solo apparente.
Le attenzioni riservate dai gestori a Ryanair trovano giustificazione nel fatto che il vettore irlandese è l’unica compagnia aerea europea che offre servizi continentali disponendo di una flotta di 300 velivoli. Anziché chiudere i battenti, molti piccoli aeroporti sono rimasti, o entrati, nel giro dei servizi di linea grazie al vettore irlandese, ed è proprio questa tipologia di aeroporti che è disposta a pagare sussidi e fornire sconti a Ryanair e a tutte le compagnie che vogliono aprire servizi sulle loro piste: quest’ultima è una condizione da cui non si può prescindere, dal momento che ciò che si concede a un operatore dovrebbe essere concesso anche a tutti gli altri eventuali richiedenti.
La voce che non c’è
Per cercare di dare contorni più precisi a questa discussione abbiamo cercato lumi nei tre consuntivi che Ryanair presenta ogni anno: il voluminoso “Annual Report”, giunto a 194 pagine; un rapporto più contenuto denominato “Full year results”; e infine, per chi va per le spicce e non ha il tempo di leggersi le fitte pagine di dati e risultati degli altri due rapporti, la cosiddetta “Roadshow presentation”.
Il primo esito è però stato negativo: i tre documenti non contengono nessuna traccia e delucidazione sui sussidi e gli sconti ottenuti dai gestori aeroportuali, benché questa sia da sempre la voce più chiacchierata e contestata dell’attività del vettore low cost irlandese. Non è un caso: mentre nel bilancio dell’aerolinea tradizionale la voce “aeroporti” è un costo, Ryanair è riuscita a trasformare anche questa in una fonte di revenue.
Approfondendo il legame vettore-gestori, vi è da osservare che se i collegamenti Ryanair creassero solo nuovo traffico aggiuntivo (per intenderci, utenti che mai avrebbero preso l’aereo in mancanza di uno specifico collegamento offerto da un solo vettore), per le compagnie tradizionali (le cosiddette “legacy carriers”) non vi sarebbe motivo di lamentarsi. Evidentemente però così non è, e vi è da ritenere che buona parte di questo traffico sia costituito da passeggeri che una volta convergevano sull’hub nazionale tramite collegamenti domestici (o con mezzi di superficie) e da qui si imbarcavano verso le principali destinazioni europee su un aereo del vettore di bandiera. Ricordiamo come nel commentare la recente notizia di riduzioni e tagli Lufthansa ha puntato il dito sia verso l’immancabile caro carburante, sia verso il traffico low cost annunciando il lancio della propria low cost dal 1° gennaio 2013.
Insomma, il fatto che Ryanair operi su aeroporti differenti da quelli usati dai vettori tradizionali non significa che i suoi collegamenti non sottraggano traffico a quest’ultimi e ciò spiega la ragione del suddetto paradosso.
Costi, prospettive e business
Ma torniamo alla domanda del titolo e al fatto che il bilancio e relative annotazioni non indicano l’ammontare dei sussidi. Bisogna innanzi tutto precisare che la contabilizzazione dei costi al netto di eventuali sussidi e contributi non è considerata dalla normativa italiana una grave irregolarità.
Le compensazioni di partite sono sicuramente vietate e di certo l’operazione rende il bilancio meno chiaro, ma all’atto pratico non risultano sentenze che sul piano civilistico abbiamo ritenuto irregolare un bilancio redatto in questo modo. Sul piano fiscale poi il comportamento non è censurabile perché non altera nella sostanza l’utile fiscale e può al massimo essere considerata una violazione di carattere formale.
Ma queste precisazioni non esauriscono tutti i dubbi. Nell’odierno scenario finanziario la “market capitalization” di una società, ovvero il valore di mercato del suo capitale azionario, è un fattore che deve basarsi su elementi concreti possibilmente non contestabili. In questo senso, un profitto ottenuto non tanto sui numeri derivanti dalla capacità di mantenere una crescita sostenibile, ma con una “inaccurata” stima non può non evidenziare una fragilità intrinseca del modello in oggetto.
Per essere ancora più chiari si rifletta sulla suddivisione delle entrate riportata nel bilancio 2011/2012 in base alle due voci di “scheduled revenues” e “ancillary revenues”, rispettivamente incidenti per l’80% e il 20% del totale. Agli occhi attenti degli analisti non può sfuggire il particolare che l’eventuale scorporamento di una ipotetica voce “sussidi” (o “contributi”) porterebbe lo “scheduled revenue” a un consistente ridimensionamento. Si rifletta anche a quali conseguenze sulle prospettive potrebbe portare un grafico che mostrasse come a fronte di un profitto dichiarato di 100, siano stati ottenuti sussidi per una cifra superiore. In questo caso, il profitto non si baserebbe più sulla sostenibilità e sui prevedibili incrementi della voce passeggeri/tariffe, bensì su un componente non quantificato ufficialmente e oggetto di ripetuti contenziosi (peraltro sinora sempre conclusi a favore della compagnia irlandese). Né si può trascurare che, in un momento di pesanti tagli ai bilanci pubblici, la proprietà pubblica (centrale o periferica) di molti scali può introdurre un ulteriore elemento di aleatorietà.
L’analisi
Fatte queste premesse, e tenuto conto dell’impossibilità di avere per via diretta le cifre in questione, abbiamo svolto un’analisi al contrario mettendo a confronto le spese aeroportuali sostenute da Ryanair e da EasyJet così come esse appaiono nei rispettivi rapporti annuali, raffrontandole quindi con il numero dei voli operati dalle due maggiori low cost europee.
Nel valutare le cifre in tabella si tengano presenti due elementi. Il primo è che il peso massimo al decollo (MTOW, il parametro principale per la tariffazione aeronautica) degli Airbus A319 in flotta a EasyJet coincide con quello dei Boeing 737 di Ryanair; il secondo è che Ryanair opera in via principale su scali secondari, ove cioè vigono tariffe più basse, mentre ormai dal 2001 EasyJet ha cambiato la propria politica preferendo operare su scali principali, sui quali è possibile l’interconnessione con altri vettori, accettando di pagare tariffe più elevate e, si deve supporre, una minore efficienza operativa derivante dal maggiore affollamento e da potenziali ritardi.
L’analisi qui proposta è un modo empirico e necessariamente indiretto per cercare di far luce su una componente dei costi sulla quale mancano i dati espliciti. Se il confronto con le operazioni di un secondo vettore dalle caratteristiche omogenee non è una prova in senso tecnico dell’esistenza di contributi qualificabili come “sussidi” e “aiuti di Stato”, dal punto di vista generale esso spiega però bene come nasca l’interrogativo posto in apertura.
(Fonte: Dedalonews)