di Antonio Bordoni
Quale diritto si applica a un aeroplano? Per una volta la domanda non riguarda le presunte evasioni contributive, ma la responsabilità per un incidente. Si tratta dell’Airbus A310 della Yemenia precipitato nell’Oceano Indiano mentre era nella fase di avvicinamento alle isole Comore il 30 giugno 2009, appena 30 giorni dopo la caduta nell’Oceano Atlantico dell’A330 di Air France. Delle 153 persone a bordo si salvò solo una ragazza di 12 anni, non a torto definita subito “miracolata”. Il volo era svolto da un velivolo di costruzione europea, la tragedia è avvenuta nei cieli africani e a bordo non vi erano cittadini statunitensi ma, per quanto possa sembrare strano, le famiglie delle vittime si avvarranno di un tribunale californiano per portare avanti la loro causa di risarcimento.
Un caso singolare, che merita di venir segnalato soprattutto perché mette in luce quanto si vada sempre più complicando il mondo degli indennizzi aeronautici derivanti da incidenti aerei. Premettiamo che gli studi legali statunitensi che stanno portando avanti il caso non sostengono la tesi che un componente dell’aereo (quale potrebbe essere il motore o l’avionica) è di fabbricazione USA, in quanto ciò comporterebbe il dimostrare che l’incidente è stato causato proprio da quel certo componente difettoso: una tesi come ben si comprende di non facile dimostrazione e che pertanto lascerebbe l’indagine soggetta a dubbi e aspetti tecnici di dubbia decifrazione. Ma gli avvocati puntano sul fatto che il velivolo non fosse di proprietà del vettore ma appartenesse all’International Lease Finance Corporation (ILFC), società di noleggio aeronautica con sede in California, che ne era la effettiva proprietaria.
Se si pensa che 40 velivoli su 100 oggi in circolazione non sono di proprietà dei vettori con cui volano bensì di società di leasing, si comprendono bene i risvolti che una tale impostazione comporterebbe in particolar modo per le compagnie di noleggio aeromobili.
Il presupposto giuridico su cui si basa il ricorso ai tribunali statunitensi è quello del “negligent entrustment” (“incauto affidamento”), secondo cui una parte (entrustor) si rende responsabile di negligenza allorchè fornisce a un altro soggetto (entrustee) il mezzo con il quale quest’ultima procura danni a terzi. Seguendo questa impostazione, l’ILFC non avrebbe dovuto dare in leasing il velivolo a una compagnia che dal punto di vista della sicurezza “lasciava a desiderare”. E qui come ben si può immaginare si entra in un campo minato. Come si può dimostrare che un vettore aereo ha una reputazione di safety talmente scarsa che una società di leasing non dovrebbe fornirgli i velivoli? Per inciso, annotiamo che una tale impostazione potrebbe estendersi a tutte le case costruttrici che consegnano direttamente ai vettori velivoli dalla catena di produzione: una situazione a dir poco paradossale.
Per valutare la “pericolosità” di un vettore, uno strumento di valutazione cui ricorrere potrebbe essere la lista nera della UE. Risalendo alle edizioni vigenti al momento dell’incidente, si troverebbe che la Yemenia non era ricompresa fra le compagnie aeree cui era vietato di volare nei cieli europei. Altra fonte di riferimento potrebbe essere lo IATA Operational Safety Audit (IOSA), il programma di certificazione volontaria gestito dalla IATA. Ma anche in questo caso si scoprirebbe che la compagnia yemenita aveva superato l’esame ottenendo la certificazione IOSA, che mantiene tuttora. Infine, va ricordato anche come a tutt’oggi non si sia ancora giunti a chiarire le cause definitive della tragedia.
Appare quindi evidente come, pur essendo chiaro il motivo per cui il caso potrà essere discusso in un tribunale americano, non è affatto certo che si riesca a dimostrare il comportamento negligente della ILFC nell’aver consegnato l’A310 alla Yemenia. Riteniamo anzi che sarà altamente improbabile.
Nell’ambiente legale statunitense si comprende bene come una sentenza emessa negli USA presenti indubbi vantaggi per la parte ricorrente (plaintiff) sotto vari punti vista, ma al contempo si esprimono preoccupazioni per il fatto che tale nuova impostazione scavalchi la responsabilità del vettore aereo, da sempre chiamato direttamente in causa in base al contratto di trasporto che lo lega al passeggero. In altre parole, l’impostazione tradizionale vede in ogni caso la compagnia aerea rispondere del danno nei confronti dell’utente, salvo poi avvalersi dell’istituto della rivalsa per rifarsi su eventuali altri soggetti.
Per restare nel campo del contenzioso che si instaura fra passeggeri e vettori, vorremmo ricordare come nel ricorrente caso del bagaglio smarrito o danneggiato sia sempre il vettore a rispondere al passeggero anche se tutti sanno che il soggetto che procura il danno è un altro, ovvero il gestore aeroportuale o la società cui viene demandato il compito dei servizi a terra. Se in un caso così evidente di non responsabilità è sempre il vettore a venir chiamato in causa, non si capisce come nell’evento dell’incidente aereo (nel quale entrano in gioco responsabilità tutte da determinare e provare) si possa anche solo ipotizzare che agli eredi dei passeggeri sia permesso chiamare in causa non il vettore che ha operato materialmente il volo, bensì una società che noleggia velivoli a vettori internazionalmente riconosciuti e certificati.