Approfondimenti
14:50 – lunedì
(WAPA) – Forse in Italia, la politica comincia ad accorgersi che il trasporto aereo, nel nostro Paese, non è tutelato.
Anzi, è tutelato quando si tratta di operatori stranieri, nell’elargire finanziamenti o chiudere un occhio sul rispetto delle norme; viceversa se si tratta di operatori nazionali più che tutelarlo siamo i primi a creargli difficoltà.
Non invochiamo certo il protezionismo che poi alla fine non serve a nessuno: vorremmo almeno che i competitori si confrontassero ad armi pari.
Bene quindi ha fatto il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Maurizio Lupi a dichiarare, nel corso della sua audizione innanzi alla commissione Trasporti della Camera ”Attiveremo una verifica con Enac e Regioni per verificare la situazione ‘Dell’ asimmetria competitiva’ delle compagnie low-cost”, perché se concorrenza deve esserci, deve esserci in modo uguale dovunque; le regole devono valere per tutti, non ci possono essere soggetti sovvenzionati”.
Cosa intendeva dunque, il ministro riferendosi ad “Asimmetrie competitive”? Se non ad una situazione di fatto per cui si pretende che due contendenti lottino per la supremazia, ma si accetta che ad uno dei due venga legato un braccio.
Sono state, e sono, -le asimmetrie competitive– sotto gli occhi di tutti, compresi quelli di certi “Tuttologi” che proprio sul caso emblematico del nostro operatore aereo di riferimento, l’Alitalia, hanno abbondantemente ed a vanvera, pontificato sulla capacità di fare impresa, su modelli industriali obsoleti, presunti privilegi del personale, senza conoscere in maniera approfondita e dettagliata i meccanismi di un settore di business fra i più complessi e difficili, che risente fortemente del “Sistema Paese” in cui è inserito e che ormai è giunto ad un punto da cui il ritorno potrà avvenire solo con profonde riforme.
Non è assolutamente accettabile, che mediante il perverso “Combinato disposto” di regole fiscali europee e nazionali, i nostri operatori del trasporto aereo si trovino svantaggiati rispetto agli operatori esteri. Solo recentemente le compagnie aeree nazionali sono riuscite ad ottenere, ancorché parziale, una equiparazione fiscale con le “Low-cost” straniere.
Un capitolo a parte riguarda proprio gli oneri indotti in relazione al rapporto di lavoro del personale dipendente.
Gli operatori “Low-cost” come Ryanair, riescono a ridurli significativamente utilizzando norme, appunto asimmetriche, che equiparano l’equipaggio della nave a quello degli aerei; con ciò pretendendo di arruolare piloti e assistenti di volo in Italia (fa molto comodo per un modello operativo multibase, in cui si eliminano la gran parte delle spese di vitto e alloggio che l’operatore dovrebbe sostenere se il personale fosse fuori dalla sede di armamento), in modo tale che a lavoratori che vivono in Italia si applicano contratti e legislazioni estere molto più vantaggiose sotto il profilo fiscale e contributivo.
Cosa ancora più grave, con l’utilizzo da parte delle compagnie “Low-cost” di questi “Escamotage”, lavoratori, contrattualizzati in maniera precaria, che all’età della pensione non avranno mezzi di sostentamento,. verranno lasciati sulle spalle dell’assistenza nazionale.
I nostri operatori vengono gravati ancora con tasse e balzelli che si susseguono a cadenze regolari, tra cui ultimamente il forte aumento delle tasse aeroportuali legate al rinnovo dei contratti di programma delle società di gestione aeroportuale. Di solo pochi giorni fa, la tassa regionale del Lazio sull’inquinamento acustico, (in molti casi tasse assorbite direttamente nel prezzo del biglietto, per cui ancora una volta in danno dell’operatore), mentre le compagnie estere, attraverso accordi sovente assai opachi, vengono sovvenzionate con fondi pubblici.
Discorso a parte andrebbe poi fatto sull’Antitrust sulla concorrenza che con un tempismo invidiabile ha costretto Alitalia a cedere alcuni slot su Linate, senza tenere conto di un mercato ormai divenuto globale e intermodale.
Non c’è che dire, nel panorama delle possibili opzioni di politica industriale che il regolatore poteva fare in danno del “Made in Italy”, c’è anche una concessione di traffico in “Quinta libertà” , vale a dire l’autorizzazione concessa ad una compagnia straniera di fare scalo di transito con il diritto di sbarcare e caricare merci e passeggeri (vedi l’autorizzazione data ad Emirates per operare la tratta Dubai-Malpensa-New York), assai raramente concessa all’estero che favorisce così i competitori stranieri a scapito del vettore nazionale.
Ritorniamo per un momento su Alitalia, contro cui sembra essere diventato ormai uno sport nazionale fare il tiro al bersaglio. Troppo grande per fallire? L’esperienza dovrebbe suggerirci il contrario. Non è certo scritto nella Bibbia che la compagnia (ex) di bandiera non possa ritrovarsi nuovamente nelle condizioni drammatiche di qualche anno fa, in cui si dovette fare ricorso ad investitori privati per salvare il salvabile.
Abbiamo l’impressione che l’operazione fatta allora, per il solo fatto che sia stata promossa da una parte politica, automaticamente debba essere criticata e osteggiata da chi ha opinioni politiche diverse.
Solo una piccola chiosa: l’Alitalia, fra dipendenti, indotto, annessi e connessi, fa campare circa 80.000 persone; se qualcuno pensa di poter giocare in questa situazione, al massacro, così… ”Giusto per fargliela vedere”, faccia una piccola riflessione e relativo esame di coscienza.
(Avionews)
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(World Aeronautical Press Agency – 03-Giu-2013 14:50)
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