di Antonio Bordoni
In qualsiasi bilancio di una società quotata in borsa è obbligatorio illustrare i rischi connessi all’attività primaria svolta dalla società in questione. Così ad esempio nell’ultimo bilancio AF/KL il gruppo franco-olandese avverte i suoi potenziali investitori che vi sono «Risks linked to changes in international, national or regional regulations and laws» e «Risks linked to the consumer compensation regulations»: sono solo alcuni esempi fra i non pochi rischi citati. In effetti è interessante ricordare che oltre alle incognite gravanti sull’industria aerea (come ad esempio quella sulla volatilità del prezzo del carburante) ne esistono altre più subdole.
Nel bilancio Ryanair chiuso al 31 marzo 2012, sotto il capitolo Fattori di Rischio riportava l’avvertimento che «su determinati scali la compagnia è oggetto di procedimenti legali nei confronti di presunti aiuti di Stato», ed in effetti è noto che la società è oggetto di ripetute investigazioni di tale natura. A proposito è bene ricordare che nulla si è più saputo circa la notizia data la scorsa estate dal giornale belga L’Echo e poi ripresa dall’agenzia Reuters, secondo cui l’associazione delle compagnie europee (AEA) aveva presentato alle autorità comunitarie un documento che denunciava i sussidi ricevuti da Ryanair avvertendo che senza di essi nell’anno fiscale 2011/2012 il vettore irlandese avrebbe chiuso in perdita di 305 milioni di euro anziché in utile di 503 milioni. Sarà interessante appurare se nelle note che accompagneranno il bilancio al 31 marzo 2013 la compagnia irlandese – che peraltro, va ricordato, ha sempre negato di ricevere sussidi – citerà tale potenziale rischio.
Parlando di potenziali rischi non si può evitare un argomento che a nostro parere si va facendo alquanto scottante di fronte alla frequenza con la quale la stampa italiana riporta articoli con titoli del tipo «Servono troppi soldi per mantenere i collegamenti, salta la trattativa con Ryanair ». Non è difficile capire a cosa alludano tali argomenti. La maggior parte degli aeroporti europei, e quelli italiani non sono da meno, per quanto appellati come “privati” sono in realtà gestiti da enti pubblici. È altrettanto noto che la crisi economica, le varie “spending review” e la necessità di non sforare determinati parametri hanno fatto stringere la cinghia alle amministrazioni locali pubbliche. In questo quadro è troppo facile continuare a pensare che la crisi, intaccando la possibilità di spesa degli utenti del mezzo aereo, giustifichi la politica delle compagnie low cost fingendo di ignorare l’altra faccia della medaglia. Ci riferiamo al fatto che se gli aeroporti “secondari” non hanno fondi per contribuire alle spese di avvio di nuovi collegamenti low cost (o per mantenere quelli esistenti), quale sviluppo potrà esservi per le compagnie low cost. O, più brutalmente, su quali scali verranno piazzati i 175 aeromobili appena ordinati da Ryanair?
Come altri analisti, riteniamo che Ryanair sia più pronta ad assicurare collegamenti laddove le autorità locali abbiano fondi da spendere piuttosto che ad offrire voli a comunità che ne hanno bisogno e che li desiderano. Si tratta di una rivisitazione di un principio classico del marketing aereo.
Nella teoria classica, l’acquisto di nuovi aeromobili da parte di un vettore dovrebbe avvenire a seguito di precisi studi di mercato dai quali risulta che essendo aumentata la domanda su determinate direttrici vi è potenziale traffico da sfruttare. Una tale impostazione dovrebbe basarsi sul fatto che l’aerolinea genera il suo “revenue” dalla vendita della biglietteria, senza che questa si avvalga in via primaria di eventuali sussidi. I titoli dei giornali del tenore prima ricordato fanno però sorgere il dubbio che gli aerei vengano comprati in prima battuta per incassare soldi dalle amministrazioni che controllano gli scali e solo in seconda battuta per offrire nuovi collegamenti aerei.
L’osservazione può diventare più chiara se consideriamo che il tasso di incremento dei passeggeri trasportati complessivamente da Ryanair va progressivamente attenuandosi, come dimostrano le cifre riprese dai dati annuali della European Low Fares Airline Association (ELFAA)
31/12/2009 65.300.000
31.12/2010 72.700.000 + 7.400.000 (11,33%)
31/12/2011 76.400.000 + 3.700.000 (5,09%)
31/12/2012 79.600.000 + 3.200.000 (4,18%)
Quanto fin qui illustrato potrebbe agevolmente compendiarsi in due semplici domande. La prima: se gli enti pubblici che gestiscono, anche indirettamente, gli scali chiudono i rubinetti che fino ad oggi hanno tenuti aperti aeroporti altrimenti destinati a chiudere (almeno al traffico di linea), come cambia lo scenario per i vettori low cost che usufruiscono di queste entrate? La seconda: quanto è opportuno continuare ad ampliare la flotta se l’aria che tira negli scali europei è quella di una minore capacità di sostenere economicamente le rotte? Una domanda che va corredata da una considerazione non secondaria: il network di Ryanair è costruito essenzialmente nell’area dell’eurozona ove più critica è la crisi finanziaria.
(Fonte: Dedalonews)
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